RIDONDANZA

RIDONDANZA

Ridondanza

Da un salotto arredato in stile etnico si distinguevano l’odore pungente di incenso alla mirra ed il suono dei tasti di un pc. Era così che lei scaricava la tensione: prendendosela con quei tasti inermi che, sotto i suoi polpastrelli impazziti risuonavano per tutta la stanza come una di quelle musiche ripetitive e ridondanti.

Doveva terminare l’articolo per il giornale e, dal momento che lui come al solito era in ritardo, aveva deciso di approfittarne per portarsi avanti con il lavoro.

Quanto odiava i ritardatari… La sua vita era scandita da appuntamenti che si susseguivano con ritmo incalzante e lei, i ritardi, non poteva proprio permetterseli.

Stufa di sfogarsi sulla tastiera decise di prendersi una pausa per fumare una sigaretta sul suo amato terrazzo in pietra. Quella serata di fine agosto era segnata dal caldo africano ed il sudore che le si formava sul labbro superiore impregnava la sigaretta rendendola umida ed impastandole la bocca. mentre aspirava il fumo si reggeva un braccio sotto l’ascella e l’altro penzolante mentre fissava il panorama e pensava al piccolo paesino di montagna che, per lavoro, era stata costretta ad abbandonare.

Le immagini della sua terra si ripetevano nella sua testa come un loop quando udì il suono del citofono che spezzò quella monotonia.

Stancamente trascinò i piedi in direzione dell’entrata e si mise sulle punte per sbirciare dallo spioncino della porta. E’ lui: sguardo assente e testa ciondolante.

Lei stava per dare le spalle alla porta quando il campanello suonò nuovamente e lei rimase paralizzata per un breve istante finché, un terzo scampanellio, la riportò alla realtà e, ancora prima che potesse realizzare, ritrovò la sua mano sulla maniglia per aprire.

Senza troppi complimenti lui entrò e, molleggiando sulle gambe in modo incerto, fece un cenno con la testa sistemandosi il berretto rosso.

“Ti ho riportato il cd pensavo …” disse lui tra un singhiozzo e l’altro.

“ Ah bene! Ora puoi andare!” rispose lei in tono piccato.

“ Ma… Ma io ti amo! Sono qui per te!” Lei si portò una mano alla fronte in segno di disperazione e sgranò gli occhi; prese un respiro come a voler pronunciare una parola ma non emise alcun suono.

“ Amore ascolta… Fammi dire una cosa, solo una!” riprese lui.

“Sentiamo, dimmi!”

“Io sono stato sempre onesto giuro sulla mia vita!” Lei alzò gli occhi al cielo e iniziò a battere nervosamente il piede destro sul marmo bianco dell’entrata. Il ticchettio che procurava la ciabatta sul pavimento era in sincronia con l’enorme orologio da parete in fibra di legno.

“ Ah si? Sei sicuro di saper contare?” esordì lei sempre andando a tempo.

“Erano solo due…Ti giuro su mia figlia sono solo due!”

“Si certo! Come no!” Dopo aver pronunciato queste parole lei si voltò per andare ad accendere la luce il sala, il buio fuori si era fatto più intenso e lei voleva guardarlo bene in quegli occhi vitrei.

Come un disco inceppato lui riprese con la sua solita solfa “ Amore fammi dire ancora una cosa, solo una cosa e poi basta!”Le sue mani con i palmi rivolti verso il basso andavano avanti e indietro in orizzontale e la sua testa mimava un dissenso. Lei stremata allargò le braccia “ Va bene! Dimmi un’altra cosa!” . Lui, con un canto monotono prese un breve respiro e disse “Io ti amo, tu sei importante! Se ti da fastidio ora che me lo hai detto non lo faccio più…Ti prego!”

Lei mosse le braccia come una direttrice d’orchestra che indica il termine di un concerto “Basta! Non ne posso più delle tue scuse,sono solo bugie… E’ già la quarta volta in un mese!”

“Ma… ma ci sono dei motivi credimi!” Aveva le mani in segno di supplica e la voce piagnucolosa che si trascinava come se avesse un peso sulla lingua. La rabbia di lei era diventata incontenibile e stava per esplodere come la nota più acuta di un tenore “C’è sempre un motivo! Se questo è il tuo modo di risolvere i problemi quella è la porta!” Indicò il portone e poi gli diede le spalle dirigendosi verso la sala. Stanca si sedette sulla sedia dove prima stava scrivendo il suo articolo, poggiò i gomiti sulle ginocchia e si tenne la testa con entrambe le mani.

“ Io non ci posso credere! Davvero, non ci posso credere, ma che ti dice la testa?”

Lui l’aveva seguita e, traballando, si allungò sul divano poggiando la testa sul bracciolo. Mentre fissava il soffitto  continuava a ripetere:”Amore fammi dire una cosa ancora una… poi basta!”

“A quante cose siamo arrivati!?” Lo incalzò lei, “hai ancora una possibilità di dirmi la verità… Dimmi quanti… Quanti?”

Lui sembrava in un’altra dimensione, continuava ad osservare l’enorme mandala sul soffitto e con il braccio piegato verso l’alto con il dito ne indicava il centro… “Ancora una cosa… fammi dire ancora una cosa!”

Improvvisamente la rabbia di lei si trasformò in rassegnazione e, con le mani ai fianchi e gli occhi lucidi lo fissava. Lo fissava con lo stesso atteggiamento con cui si ascolta una melodia di cui conosci il finale e sai che non ti piace. Mentre lui continuava a ripetere le stesse frasi come un ritornello senza fine lei si diresse verso il corridoio, aprì la scarpiera e si infilò le scarpe da ginnastica. Secondo lei l’unica soluzione alla situazione in quel momento era la fuga.  Intanto che tentava di sistemarsi i capelli con le mani alla specchiera dell’entrata udì un rumore penetrante provenire dal salotto. Decise di andare a sbirciare e, ferma sulla soglia, scrutò lui che con gli occhi chiusi ed il braccio piegato russava rumorosamente. Lo osservò fino a quando si rigirò e confusamente ripetè la stessa frase “ Amore… fammi dire ancora una cosa… ancora  una…”

Lei prese le chiavi sul tavolo e, agitando le braccia al cielo come a voler imprecare in silenzio, si diresse verso l’uscita… Cambiare musica le avrebbe fatto bene e finalmente stava iniziando a capirlo.